L’equità per essere imparziali

L’equità è la capacità di giudicare con equilibrio e imparzialità. Valutare con obiettività, vuol dire senza soggettività, essa ne definirebbe l’influenza e di conseguenza, anche la risposta.

Imparzialità significa valutare con equilibrio e imparzialità, a volte nel confronto con le diverse situazioni non siamo obiettivi, imparziali. Poichè, nessuno di noi è emozionalmente asettico. Ognuno di noi è attivato e più ricettivo, su certe parti di sé.

Essere genitori implica di per sé, non essere imparziali, poiché una delle aspettativa è quella di essere dei buoni genitori, di far loro del bene.

La bilancia ci pone di fronte alle due misure, l’equità e l’imparzialità per creano una sorta di equilibrio. Cosa accade in realtà?

Come si comportano i nostri figli? Cosa pensano e cosa vogliono i nostri figli e le altre persone? Come se in generale, fossimo abituati ad avere un metro di misura e di giudizio sugli altri e sul mondo esterno. In realtà è così.

Non solo sugli altri, ma anche sui nostri figli. Valutiamo come si devono comportare, cosa devono fare o non fare, cosa va bene e cosa non va bene. Emettiamo giudizi, osservazioni e pensieri continui. Frutto degli apprendimenti sociali.

Come valutiamo tutto, ciò attraverso quali filtri?

Quali sono gli elementi che ostacolano o favoriscono le nostre valutazioni?

Cosa ostacola la nostra capacità di valutare con equità? Vi sono diversi fattori, tra i principali vi sono gli apprendimenti culturali, ambientali, sociali e le esperienze personali.

A seconda di dove si vive, della zona geografica, della propria cultura vi sono modelli e stili culturali di valutazione e di attribuzione sociale, differenti.

L’appartenenza culturale, ad esempio, se il contesto era grande o piccolo, se nell’ambiente culturale, dove anche i nostri genitori, oltre a noi stessi,  se si sono laureati o se invece hanno conseguito, solo una parte degli studi e se ancora, se hanno incominciato a lavorare. Se proveniamo da genitori con un’appartenenza alla terra, al commercio, se si sono trasferiti o se sono sempre vissuti nello stesso posto, tutte queste variabili sono determinanti delle differenze negli apprendimenti individuali.

Unitamente ad altri fattori quali l’ambiente, il luogo dove siamo vissuti in un piccolo paese, vi erano meno stimoli o stimoli precisi, quali l’oratorio, la chiesa, le feste di paese e le tradizioni tramandate dalle nonne oppure essi sono cresciuti in luoghi centrali, culturalmente attivi; si sono trasferiti più volte nel corso della vostra infanzia o avete vissuto praticamente nello stesso posto, quasi tutta la vita? Oppure, altri ancora sono nati e cresciuti in una realtà metropolita, si sono spinti in viaggi di lavoro dove si sono spesso postati nel mondo e si sono fermarsi solo un giorno per mettere le proprie radici. C’è chi si muove e chi preferisce rimane in un luogo al “sicuro”, dove gli affetti rappresentano un riferimento oltre all’affettività, altri rincorrono realizzazioni dietro una scrivania e raccontano al telefono, dall’altro capo del mondo la propria vita e le proprie realizzazioni.

Questi ed altri fattori, quali la realtà e l’ambiente dinamico, la tecnologica e la cultura determinano il grado con cui costruiamo “mentalmente” i nostri valori e la misura con il quale “giudichiamo”, il mondo e gli altri.

Ognuno a seconda degli apprendimenti, del carattere e delle esperienze personali vive la propria vita. Non esiste nessuna esperienza che sia realmente migliore di un’altra, esiste la propria e il riuscire a vivere la propria con gioia.

A seconda dell’esperienza vissuta, maturiamo un impatto emotivo che determina e definisce una struttura dentro di noi, che ognuno di noi ha. Cosa ostacola la nostra capacità di valutare con equità, abbiamo detto che questi elementi solo alcuni degli elementi che ci caratterizzano e possono influenzare, attraverso i giudizi, la nostra equità.

Se ho imparato da certi apprendimenti familiari ad essere una persona timorosa, la mia capacità di conseguenza di valutare con equità sarà ostacolata dal fatto di essere una persona timorosa e sarò probabilmente, rispetto a mio figlio, più “limitante”, o comunque più solerte e protettiva.

Spesso ciò che ci ostacola sono le emozioni.

Ho paura di chiedere al figlio troppo e se non è in grado di farlo? O di chiedere troppo poco, non vorrei stressarlo è piccolo o è grande?

Quando posso dire di no e quando è utile non scendere a mediazioni e  mantenere, al contrario, i propri propositi. Le mie paure come genitore di sbagliare quanto influenzare le mie scelte, e in che modo? Appropriatamente o inappropriatamente?

È abbastanza autonomo per muoversi da solo o devo seguirlo, accompagnarlo a scuola, fino a che età?

I nostri apprendimenti passati condizionano il nostro presente e di conseguenza anche il presente e la crescita dei nostri figli. Alcune nostre emozioni condizionano le nostre stesse scelte, non solo non ci rendono imparziali, ma neanche liberi.

Appartiene a me questa paura o è legata propriamente al figlio, se si riflette in me, apparterrà anche a me.

Se fosse in tal modo, come primo passaggio fondamentale, cercherei di comprendere cosa mi sta attivando, cosa sto facendo fatica a decidere, a fare o a dire. E mi domanderei dove l’ho appreso, da chi, quando l’ho imparato, l’ho sentito, o l’ho sperimentato? Nella maggior parte delle situazioni di vita, quando noi entriamo in una situazione di difficoltà, di crisi di impatto con l’esterno, è perché c’è all’esterno qualcosa che mi sta attivando, essa  appartiene alla nostra storia e come se fosse un nodo che si riattiva attraverso i figli o gli altri, ma appartiene alla nostra storia alla nostra esperienza.

Sarà utile notare e discernere il sentire, cosa appartiene a me , a noi e cosa semplicemente a mio figli, o ai miei figli.

Un ascolto attivo, paziente vi condurrà alla risposta.

Da lì inizia l’equità, e non solo, anche la consapevolezza e l’evoluzione di sé.

Monica Massa, Shreya

Aiutiamo i figli a diventare autonomi, verso l’identificazione di sé

Il bisogno d’amore e di appartenenza si riferisce ai bisogni elementari di sopravvivenza, essi devono essere soddisfatti in ogni momento del giorno della loro vita, tuttavia salendo nella scala, anche i bisogni più elevati sono ugualmente importanti per la sopravvivenza dei bambini.

È indispensabile che sappiano chi si prende cura di loro, che si ha a cuore l’interesse personale di ognuno di loro, che sono desiderati e tenuti in considerazione.

Hanno bisogno di sentire profondamente dentro di sé, che sono educati a diventare tutto ciò che possono diventare. Quando i bambini escono dall’infanzia, il bisogno di essere toccati e tenuti in braccio non diminuisce, cambia solo la forma.

I figli hanno ancora bisogno di sentirsi amati.

La disciplina interiore è una qualità che i bambini devono imparare a esercitare su se stessi, per la ricompensa interiore che ne deriva. Fondamentalmente rimarranno indisciplinati per tutta la vita se vivono la disciplina come imposizione autoritaria. Spesso anche i genitori seguono la stessa impostazione e ai bambini vengono meno quelle motivazioni interiori per sviluppare l’autodisciplina. Se imparano a sfuggire alla disciplina perché è associata la punizione, allora appena lasciati soli si potrà vedere, come sfuggono.

Se facciamo leva sulla paura, il figlio penserà “Devo stare attento a non farmi vedere dalla mamma o papà, altrimenti mi sgriderà”.

Se invece imparano ad avere rispetto del loro corpo, eviteranno di prendere droghe quando noi non ci saremo, se sono liberi di fare le domande, se non hanno paura di raccontarci le loro esperienze, ed affronteranno la vita secondo una loro etica, allora avrà meno importanza se noi saremo presenti o meno.

Certo i bambini hanno bisogno di una guida e di proibizioni nelle primissime età, ma sempre accompagnate da spiegazioni ragionevoli e soprattutto dall’assunto che devono adottare una loro disciplina, in quasi tutte le loro azioni.

Bisogna educare i figli senza imporre la disciplina, ma guidandoli a interiorizzare un proprio codice di comportamento.

La fiducia in sé si misura sul comportamento, mentre il senso del proprio valore traspare nell’atteggiamento di fondo.

Insegnare al figlio nuovi comportamenti è la strada per costruire e alimentare la sua fiducia in sé. I fattori che concorrono a determinarla sono la disponibilità a rischiare, la capacità di sfidare se stessi, il coraggio e la determinazione.

La fiducia in sé si consolida agendo.

Non preoccupandoti, o pensandoci o parlandone, ma agendo. Se il figlio “è bloccato”  o incapace di agire come vorrebbe è il caso che noi interveniamo.

La fiducia in sé non è una definizione assoluta, vi è o non vi è, ma si può dire che per un bambino in certi casi c’è e in altri meno.

Ricordiamo la fiducia si consolida agendo, più esperienza acquista un bambino in campi diversi, maggiore crescerà la sua fiducia in sé.

Un altro aspetto determinante è valutare il grado di fiducia in sé, che si basa sulla disponibilità ad agire, anziché a criticare.