Pensieri dall’India di Monica Massa
Siamo circondati da cose, varie e numerose. In casa, al lavoro, in auto, negli ambienti pubblici, in strada, da carta, plastica, metallo, cartone, legno e altri materiali simili.
Alcuni sono utili ci forniscono delle comodità, altri sono non necessari. Esse sono dei suppellettili all’Ego, crediamo che essi parlino di noi, ci descrivano e siano in grado di darci l’immagine che corrisponde a noi stessi, a chi siamo. A chi pensiamo di essere.
La casa, l’auto, il telefono, il vestito, l’orologio ed altri ancora; senza di essi o parte di essi chi saremmo, riusciremmo a vederci nello stesso modo sapendo di essere la stessa persona?
O “spogliati” sentiremmo di esser diversi? Le comodità ci forniscono sicuramente dei vantaggi mentali e pratici, siamo più organizzati in quest’era tecnologica e siamo più globalizzanti nei contatti nel mondo. Qualche settimana fa ho visto un film dove la tecnologia tutta la tecnologia non esisteva più, una sorta di blackout mondiale, un resettaggio globale. Come sarebbe? Senza di essa, scopriremmo chi siamo davvero e di cosa siamo capaci?
Secondo voi ciò avviene comunque? Anche se spesso essi ci deragliano su altri piani, distratti da strade parallele, le quali ci conducono con maggior lentezza verso le nostre mete.
Vi è mai capitato di andare in vacanza o per altri motivi, in un posto nel quale c’erano ben pochi agi, un posto minimalista e cosa vi è successo? Avete forse maggiormente colto voi stessi? Forse si. Qualche momento di raccoglimento, di riflessione, di attenzione a sè. A volte abbiamo persino paura di avere momenti in cui star tranquilli e pensare. C’è chi li rifugge e riempie il tempo di tutto, tranne che di se stesso.
Le vie di mezzo, come ben si sa, sono le più adatte, se fossimo in grado di mantenerle costantemente. Un tempo per sè e un tempo per produrre.
L’Ego si siede nelle comodità, esso dice “Io ho questo, Io ho quello…”. Si nasconde dietro le comodità. Ciò che si raggiunge non basta mai per l’Ego, vuole sempre di più. Impariamo a distaccarci dagli oggetti invece di acquistarli, accumularli e abbellirci.
Cosa vogliamo dalla vita? Quando lo domando in terapia, spesso le persone mi rispondono “Voglio essere serena”, “Voglio non essere stressato dalla vita” oppure hanno degli obiettivi specifici, come staccarsi da certe situazioni difficili, affettive, familiari, problemi con i figli o l’ex compagno, rimanere tranquilli dentro; riuscire a superare certe “prove della vita”, perdite, lutti, cambiamenti di vita significativi.
Cosa si vuole davvero? Star bene, non significa altro che sentirsi amati, riconosciuti e apprezzati, indipendentemente dall’età cronologica e dal DNA.
Inutile rincorre la felicità fuori di noi, a volte è come un’altalena essa va e viene, non è nel possedere però che si giunge alla felicità. Conosco persone molto benestanti che non si sentono felici, ma solo comode. Forse soddisfatte di sè, ma neanche così tanto. Il denaro spesso lascia l’amaro in bocca, come quando si acquista un oggetto desiderato, dopo quanto passa l’entusiasmo nel suo acquisto, nel possedere? Gli oggetti offrono una “felicità” momentanea.
Certo, offrono comodità, spesso favoriscono la qualità della vita, non la nostra felicità. La ricerca della felicità e della beatitudine giunge dal cuore.
Dunque a volte chiedersi “Cosa vogliamo davvero dalla vita” aiuta a riorientarsi verso ciò che conta davvero, il benessere nel cuore e non la finta “felicità”.
Esiste il libero arbitro, a voi la vostra scelta.